Il processo è quell’alchimia che consente la realizzazione di un artefatto come parte essenziale dell’opera d’arte. Da molti anni conduco la mia ricerca artistica convinto che l’evidenza di questo processo sia anch’essa parte essenziale dell’opera d’arte; è questo sentimento che probabilmente ha condizionato l’esigenza di Michelangiolo a non finire le sue sculture, fino all’estremo della Pietà Rondinini dove il divenire dell’opera ne diventa l’essenza stessa “che non è quasi più un’opera d’arte, ma piuttosto il trapasso dall’opera d’arte alla confessione estatica”. Il processo di fabbricazione della maschera, come quello di qualsiasi opera d’arte, è sì simile ad un processo artigianale, ma con esso non deve essere confuso. L’evidenza di questo processo, in realtà, parte essenziale dell’opera, è “l’agire”.
È questo agire che genera un’azione che ci consente di operare nella sfera del più profondo, del non descrivibile; è questa necessaria concretezza che permette di esplorare il più riposto ed impalpabile ambito della nostra mente. Al contrario di un artigiano che ricerca la precisione l’obiettivo è l’imprecisione: quello che è indeterminato. Imprecisione che permette sovrapposizioni, echi, confusioni. Sottrae le maschere dall’oblio. Ne è l’essenza della vitalità.
“…Ciò che ci riguarda, invece è unicamente l’agire. L’opera non ci appartiene più…”
Al vecchio maestro fu chiesto quanto tempo avesse impiegato a dipingere il bambù, “ho impiegato cinquanta anni e cinque minuti”, rispose, “cinquanta anni per studiarlo, cinque minuti per dipingerlo”.
“La neve ricopre mille montagne, questa vetta isolata, come mai non è bianca?”